BASE PROGETTI PER L'ARTE

(Italiano) HANS SCHABUS

MAMMA MIA

Inaugurazione: lunedì 18 aprile dalle 18,00

18 aprile / 5 giugno 2011

In questo progetto l’artista indaga le possibilità che hanno gli oggetti del nostro quotidiano di comunicare le relazioni personali che stabiliamo con essi. Questo approccio porta l’artista a proporre una riflessione più ampia ed in particolare sul concetto di opera “site specific”, mettendo in evidenza come oggi questo termine non possa più riguardare soltanto la relazione formale tra l’opera e lo spazio fisico che la contiene, ma debba necessariamente comprendere anche il rapporto con il contesto ambientale e sociologico in cui essa si trova ad agire.

L’artista stesso descrive così il suo contributo per BASE / Progetti per l’arte:
“Si tratta di tre opere autonome che stabiliscono una strana relazione tra di loro.
La prima opera è un lavoro personale.
Si tratta di una mia lettera posta in una cornice. La lettera è un compito che mi ha assegnato la mia insegnante di italiano, poi corretta da lei, in cui cerco di presentarmi e dire chi sono.
La seconda opera è un lavoro scultoreo.
La forma è quella di un piede di un mammuth in vetroresina, tagliato all’altezza della pancia. Questa opera è una continuazione dell’installazione “Klub Europa”, lavoro che ho mostrato all’ultima Biennale di Berlino e che evocava un’esigenza di confronto con il passato e il problema della sua spettacolarizzazione.
La terza opera è un lavoro spaziale.
Questo lavoro coinvolge tutta la scatola architettonica di BASE dal momento che consiste in una maniglia applicata ad una parete e che quindi non apre niente.

Hans Schabus (Watschig, Austria, 1970; vive e lavora a Vienna) “è uno scultore nel senso classico della parola. Affronta sempre nuovi progetti, nuovi lavori, la cui realizzazione richiede forza fisica andando sempre fino al limite del possibile. Questo suo approccio corrisponde all’idea classica dell’artista: creare o scolpire stando solo davanti al materiale, che nel caso di Schabus però è lo spazio pubblico. Questo viene analizzato e riformulato, ridimensionato da un punto di vista fisico e psichico, la forza che ne risulta si trasmette istantaneamente al visitatore. L’opera di Schabus, che si propone sempre il compito di superare i limiti del corpo, dello spazio e del tempo, offre sensazioni molto personali, che risultano da un confronto altrettanto personale dell’artista con lo spazio. Un approccio questo che è andato un po’ fuori moda. Mentre oggigiorno l’arte vuole essere azione sociale o occuparsi di tematiche politiche, Hans Schabus crea le sue opere solo per se stesso. La relazione dell’artista con la propria opera è infatti intima nel senso tradizionale della parola. In uno stato di assoluta autonomia si confronta con lo spazio.” Queste parole di Max Hollein, scritte per il catalogo uscito in occasione della sua partecipazione al padiglione austriaco alla Biennale di Venezia del 2005, contestualizzano efficacemente l’approccio e l’apporto dell’artista al panorama internazionale dell’arte contemporanea. L’artista in quell’occasione occultò o inglobò con il suo lavoro il padiglione costruito dall’architetto Viennese Josef Hoffmann che fu inaugurato nel 1935. L’opera di Shabus dal titolo “L’ultima terra” era difficilmente catalogabile solo come opera di architettura, o solo di scultura, o solo come lavoro sullo spazio o di creazione di un nuovo spazio collettivo da praticare. Infatti, se da fuori appariva come una forma geometrica che rimandava alla montagna, al mito della montagna molto caro alla storia austriaca, all’interno era un insieme labirintico di scale che rimandava ai disegni di Piranesi. L’aspetto importante però era il momento in cui le persone animavano il luogo percorrendolo e prendendone possesso. Infatti, per la mostra Eurasia nel 2007 al Mart di Rovereto l’artista ha esposto solo la punta della struttura/montagna tagliata, posta su dei sacchi di cemento, come testimonianza di questa appropriazione da parte del pubblico che veniva testimoniata dalle firme e dalle scritte lasciate dalle persone nel momento i cui uscivano sul tetto per prendere il sole. La riflessione che l’artista compie sul suo ruolo rispetto alla società di cui fa parte Ë attraversata da una forte vena eroica e romantica che sposta la questione sul concetto più ampio del ruolo del soggetto in generale. Questa dimensione è evidente con opere come “Fuga da Babele” del 2002 in cui l’artista scava un cunicolo partendo dal pavimento del suo studio, o con l’opera Wienflub, Wien, 2002 in cui una serie di fotografie documentano il suo viaggio su una piccola barca costruita da lui stesso attraverso i canali sotterranei della città. La sua dimensione legata allo scolpire lo spazio è invece evidente con il già citato lavoro della biennale di Venezia e con la personale al Barbican Center di Londra del 2008 in cui esponendo una lunga fila dei sedie colorate, come ad aspettare il pubblico per una conferenza, usando come piano di appoggio la parete ha messo in evidenza il particolare spazio del museo fatto a semicerchio.

Tra le molte mostre personali ricordiamo: Die Rocky Horror Hansi Show, Clubblumen, Wien, 2010; Is it the River?, ZERO…, Milan, 2009; Next time I am here, I will be there, Barbican Art Centre, London, 2008; SITE Santa Fe, USA, Innere Sicherheit, Kasseler Kunstverein, Kassel, 2006; The Last Land, Padiglione Austria, Biennale di Venezia, Venice, 2005. Mentre tra le sue partecipazioni a mostre collettive internazionali sono da citare: 6th Berlin Biennale for Contemporary Art, Berlin, 2010; Contemplating the Void, Guggenheim Museum, New York, 2010; Fifty Fifty. Kunst im Dialog mit den 50er Jahren, Wien Museum, Wien, 2009; Fabricateurs d’espaces, Institut d’art contemporain, Lyon, 2008; Revolutions – Forms at Turn, 16th Biennale of Sidney, 2008; Liverpool Biennial, Liverpool, 2006; The Pantagruel Syndrome, T1 – Turin Triennal Threemuseums, Torino, 2005; Manifesta 4, European Biennial of Contemporary Art, Frankfurt, 2003.

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