BASE PROGETTI PER L'ARTE

PIERRE BISMUTH

OGGETTI CHE AVREBBERO DOVUTO CAMBIARE LA TUA VITA

25 settembre / 31 ottobre 2009

BASE / Progetti per l’arte presenta il progetto inedito di Pierre Bismuth dal titolo “Oggetti che avrebbero dovuto cambiare la tua vita” appositamente concepito per lo spazio. Per questo progetto l’artista ha invitato il pubblico fiorentino a partecipare donando, prestando o vendendo oggetti acquistati un tempo con la speranza che questi potessero cambiare la propria vita. La mostra è così una collezione di beni di consumo – prodotti di bellezza, equipaggiamenti sportivi, libri, CD, etc.. – che non hanno mantenuto la loro promessa di cambiamento restando, in molti casi, inutilizzati e dimenticati. E’ un’affermazione di disincanto, quella di Bismuth, con la quale non intende a rivelare alcuna verità lasciando l’opera e il pubblico liberi di attribuire (ed immaginare) un’altro tipo di “promessa” individuale ad oggetti che fanno parte della nostra quotidianità.
Come può fallire una promessa ancor prima dell’utilizzo dello strumento acquistato per realizzarla? E come può sparire il fascino seduttivo delle merci ancor prima di utilizzarle (o anche soltanto dopo aver aperto il prodotto la prima volta)? Stabilire il valore commerciale delle merci è necessario per attivare un’ipotesi di scambio. Ma l’estetica dei beni di consumo produce un desiderio che spesso non ha nulla a che vedere con l’utilizzo reale degli stessi beni. Questo fenomeno evidenzia quindi un gap tra la funzione reale di un oggetto e la sua funzione idealizzata al momento dell’acquisto. La funzione reale infatti è spesso un’esca: l’utilità di un prodotto risiede nella sua promessa estetica che si conclude al momento dell’acquisto
Nel progetto di Pierre Bismuth gli oggetti non sono soltanto delle merci. Il consumatore ha richiesto loro di soddisfare una promessa che non sono stati in grado di mantenere: la promessa della felicità. Come sappiamo da Stendahl, e successivamente da Benjamin e Adorno, è proprio questa promessa (di felicità) che definisce l’opera d’arte. Definizione all’interno della quale è compresa anche l’inutilità dell’opera stessa. Il suo essere inutilizzabile. O, perlomeno, con nessun altro scopo se non quello di rappresentare questa tensione verso una speranza (una promessa) contenuta nell’intenzione iniziale di possesso.
Contrariamente a quanto accade nei readymade, in quest’installazione di Bismuth non avviene una trasformazione della merce in opera d’arte attraverso il semplice travaso da un contesto ad un altro. L’oggetto acquista il potenziale di opera d’arte ancor prima che l’artista lo collochi all’interno dello spazio espositivo: attraverso la testimonianza di una promessa tradita. Questi beni di consumo hanno già perso la loro possibilità di utilizzo come merci: la loro apparenza (estetica) ha fallito e il loro utilizzo è stato così rifiutato. Paradossalmente è soltanto attraverso questo processo di trasformazione in arte, che possono di nuovo riconquistare il loro valore di merci, acquisendo così un nuovo valore d’utilizzo (inutilizzabile).

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