BASE PROGETTI PER L'ARTE

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COSA È BASE?

Base / Progetti per l’arte è uno spazio non profit fondato nel 1998, a Firenze, in via san Niccolò 18 r, da un gruppo di artisti con un’idea comune della pratica dell’arte, per avere uno spazio di incontro in cui riflettere sui linguaggi della contemporaneità, coinvolgendo e invitando altri artisti attivi sulla scena internazionale. Base è al suo dodicesimo anno di attività e ad oggi, ha realizzato oltre sessanta progetti pensati appositamente dagli artisti invitati: da Robert Barry a Olivier Mosset, da Jan Vercruysse a Rainer Ganhal, da Carsten Nicolai a Jonathan Monk, da Pedro Cabrita Reis a Nedko Solakov, da Luca Vitone a Eva Marisaldi. La qualità di Base, però, non si limita alla ‘lista giusta’ dei nomi, ma al creare una dimensione in cui l’opera, e la sua processualità, sono praticabili al di fuori delle mediazioni che, solitamente, sono presenti all’interno del sistema dell’arte.

CHI È BASE?

E’ un organismo aperto che mantiene, con coerenza, il suo obiettivo iniziale che, come è scritto nello statuto, punta a farsi catalizzatore e porta d’accesso nella città delle riflessioni più interessanti sulla scena internazionale, stabilendo uno scambio alla pari tra gli interlocutori partecipanti. Negli anni il collettivo, formato da artisti residenti in Toscana, che ha animato e coordinato le attività di Base è mutato, pur mantenendo una sua coerenza e continuità. Adesso è formato da otto artisti: Mario Airò, Marco Bagnoli, Massimo Bartolini, Paolo Masi, Paolo Parisi, Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci e Remo Salvadori. Il fatto che questo spazio non profit sia più unico che raro è testimoniato dalla convivenza in un unico contesto, di artisti che usano mezzi espressivi e modalità diverse e che appartengono a tre generazioni differenti. Maurizio Nannucci lavora con i mezzi della comunicazione e sulla loro natura dalla fine degli anni Sessanta, mentre Paolo Masi, sempre dagli anni Sessanta, pratica con coerenza i limiti dell’astrazione geometrica di tipo gestaltico, con una grande varietà di soluzioni. Dai primi anni Settanta Massimo Nannucci lavora sul concetto di vero/falso e di mimesi tra oggetti d’arte e oggetti del quotidiano, Remo Salvadori sull’idea di incontro e di dare nuova vita ai materiali inorganici, come il piombo e la materia/colore, Marco Bagnoli riflette sull’idea di sapere, mettendo a confronto scienza e natura. Mario Airò e Massimo Bartolini appartenenti alla generazione che si presenta a fine anni Ottanta, attraverso installazioni immateriali e di tipo ambientale lavorano sull’idea di cross over tra differenti discipline, per creare una dimensione di stupore in cui lo spazio fisico è direttamente messo a confronto con quello immaginato. Paolo Parisi dall’inizio degli anni ’90, attraverso una pratica del concetto del monocromo in pittura, realizza una riflessione sul punto di vista dello spettatore, confrontando lo spazio della rappresentazione con quello esperibile. Questa idea di spazio aperto al confronto, mettendo al centro l’opera, e di struttura organizzativa di tipo orizzontale – come la definiscono Maurizio Nannucci e Paolo Parisi – distinguono Base da tutte le altre analoghe esperienze. Base con pochissimi mezzi in una situazione di ipercomunicazione e di possibilità di realizzare una biennale in qualsiasi parte del mondo, da sempre punta al momento importante dell’incontro tra artista e pubblico, tra artisti e artisti, tra artisti e contesto, con cui dare una risposta diretta e concreta al reale. Per questo motivo, se osserviamo da questo punto di vista l’attività di Base, è possibile ricostruire quali sono stati gli interessi che hanno caratterizzato questi ultimi dieci anni e stabilire, anche, una ricognizione delle energie più interessanti nel territorio toscano attraverso il loro coinvolgimento. Gli artisti fondatori, il nucleo iniziale del 1998, furono Antonio Catelani, Carlo Guaita, Paolo Masi, Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci e Paolo Parisi. Successivamente nel corso degli anni hanno partecipato anche Vittorio Corsini, Fabio Cresci, Daniela De Lorenzo, Andrea Marescalchi, Robert Pettena, Pedro Riz à Porta, Addo Lodovico Trinci. Tra i critici ricordiamo Pier Luigi Tazzi che, in un progetto a quattro mani, ha ricostruito l’esperienza di Paolo Masi come animatore culturale nella città fiorentina dagli anni Sessanta e Sergio Risaliti, che ha curato il progetto per la pace Let’s give a chance. Negli ultimi anni, pur non entrando a far parte del collettivo, molti giovani artisti, che si sono formati in questo fruttuoso dialogo con altri artisti, hanno permesso di continuare a svolgerne l’attività. Tra questi: Enrico Vezzi, Vittorio Cavallini, Silvia Bongianni, Yuki Ichihashi e Irina Kholodnaya.

COME SI È MANIFESTATA BASE?

Gli artisti che hanno esposto a Base sono molto differenti tra di loro, per generazione e genesi artistica e, in un certo modo, questa varietà rispecchia a pieno le diverse tensioni dei vari componenti del collettivo. Questi, con il progetto Base, hanno scelto di manifestarsi, per una volta, non esponendo la loro opera ma invitando altrilo spazio percepito e quello fisico. Tutti gli artisti hanno affrontato una delle due problematiche puntando sempre a stimolare in presa diretta la percezione dello spettatore, per portarlo a riflettere sul rapporto contenitore/contenuto, sia in senso fisico rispetto a quel dato spazio, sia a livello di processo mentale. Queste linee operative possono essere usate anche come chiavi di lettura, con cui ripensare l’esperienza di Base, e acquistano una concretezza precisa, pensando ad alcune mostre specifiche. La riflessione su cosa possiamo considerare un’ opera d’arte è evidente con il progetto di Tino Sehgal. Instead of allowing some thing to rise up to your face dancing bruce and dan and other things è una scultura vivente o l’azione di un performer che si muove, riverso sul pavimento come una medusa, cercando di perimetrare lo spazio che lo contiene. Questa immagine in farsi (unione di due performance di Graham e Nauman visibili al pubblico in generale solo attraverso documentazione video) riprende, senza nostalgia, le ricerche degli anni Settanta per creare un’attenzione su quel dato momento spazio-temporale che lo spettatore, cosciente o pedone inconsapevole, si trova a vivere e su come può interpretare ciò che ha incontrato, apparentemente, per caso. Mentre Rirkrit Tiravanija ha posto la stessa questione, rivolgendosi direttamente alle persone del quartiere e trasformando lo spazio di Base nella sede della Street TV. Per la durata della mostra le persone si potevano trovare in questo luogo “per dire la loro”, realizzare programmi o trasmettere i loro materiali video. L’opera d’arte, così, non era un oggetto da osservare ma un rendere attivo ed evidente quel momento di coesistenza e relazione tra le persone presenti nello spazio d’arte. Questa idea di opera, come interrogazione su cosa renda uno spazio un luogo d’arte, in altri casi lascia il posto alla riflessione sulla percezione dello spazio fisico, o meglio, sulla sua percezione, come accadeva con l’opera Diagonal space di Jeppe Hein, che permetteva una misurazione visiva dello spazio attraverso una struttura zigzagante di metallo, che si sviluppava dalla profondità dello spazio verso l’entrata e su cui scorreva dell’acqua, dando vita ad una fontana. A tratti una linea di fuoco (alcool infiammato) prendeva il posto dell’acqua, sviluppando, attraverso il calore e la luce, un coinvolgimento fisico, oltre che immaginativo, nello spettatore presente. Invece Gerwald Rockenschaub con l’opera Beyond black ha messo in evidenza le dimensioni fisiche dello spazio e, allo stesso tempo, la possibilità di poterlo cambiare e immaginare in maniera diversa. Un pannello di mdf, dipinto di rosa, attraversa le due stanze per la porta di accesso interna, impedendo di vedere lo spazio in tutta la sua profondità, che è ben messa in evidenza dalla parete dipinta di verde e dal pannello di mdf, questa volta blu, opposto ad essa. In alcuni casi questi due aspetti, la riflessione sul linguaggio dell’arte e sulla reazione alla percezione dello spazio fisico/visivo, coincidono, come in Matt Mullican che, esponendo due grandi bandiere e una serie di animazioni di computer grafica, apriva una riflessione sulla natura dei segni e sulla loro interpretazione, rispetto al contesto in cui si manifestano; mentre Niele Toroni con il segno del pennello n.50, oltre a riflettere sulla natura della pittura concretizzandone il grado zero perché rappresenti solo se stessa, manifesta la scatola architettonica attraverso le variazioni dei triangoli, che le impronte disegnano sulle pareti. Tra questa tipologia di interventi possiamo citare anche il lavoro di Antonio Muntadas che appare, adesso, come sintesi di cosa vuole essere Base. L’interventoconsisteva, apparentemente, in un membrana rossa che, rivestendo la porta finestra e la finestra dello spazio, lo rendeva inaccessibile. Avvicinandosi a questo diaframma monocromo i passanti potevano osservare lo spazio illuminato all’interno, attraverso una serie di lettere ritagliate sulla superficie rossa che, se lette nel loro insieme, affermavano: La percezione richiede partecipazione. Questi sono solo alcuni degli esempi di come gli artisti hanno reagito all’invito di altri artisti ad intervenire nello spazio di Base / Progetti per l’arte. Pur nella varietà delle differenti ricerche, risulta evidente una riflessione costante, che ha guidato tutta l’attività dello spazio non profit e rivela che la sua qualità risiede nella convivenza di tanti percorsi e di voci diverse. Base / Progetti per l’arte è un’ utopia praticata giornalmente, che si interroga costantemente su qual è e quale dovrebbe essere il ruolo dell’artista rispetto alla società e su cosa possiamo considerare arte oggi e perché.

Lorenzo Bruni